....Detto tutto questo, voglio sottomettere alla tua attenzione un testo sull’importanza dell’abito religioso con le sue valenze spirituali e, possiamo anche dire, anche pastorali.
Il libro, da cui ho tratto questo paragrafo, fu scritto nel 1921, non è nella tradizione cattolica, ma buddista tibetana dal titolo ‘La Liberazione nel palmo della tua mano’ a cura del lama Pabonka Rinpoche ristampato per le edizioni Chiara Luce nel 1998.
Il testo riguarda il lungo e pericoloso viaggio che affrontò agli inizi dell’anno Mille il santo lama Atisha, insieme ad un centinaio di monaci, per incontrare un altro grande lama.
Il racconto comincia:
“Atisha passò tredici mesi di viaggio, tuttavia non si tolse mai le sue vesti monacali, simbolo dell’ordinazione. Non viaggiò come fanno ora molti monaci. Al giorno d’oggi, quando i monaci vanno in pellegrinaggio, nel momento in cui escono indossano abiti da laico. Alcuni di questi portano con loro persino dei grossi coltelli [vietatissimi per un monaco] Sicuramente le persone che li vedono potrebbero provare paura e chiedersi: chi sono questi tagliagole? In futuro dovremo dare sempre l’esempio, non togliendoci mai le vesti monacali, il simbolo della nostra ordinazione. Tutto ciò sarà di beneficio agli insegnamenti – e prosegue – I corpi dei monaci vengono abbelliti dalle due vesti color zafferano, ma quando i monaci adottano le consuetudini dei laici questo comportamento porta gli insegnamenti alla rovina. Alcuni affermano che lo sviluppo spirituale è un processo interiore per cui non si curano del loro comportamento esteriore, tuttavia, in generale questa idea danneggia gli insegnamenti”.
Niente male, caro Marco, come risposta alla chiesa bergogliana e la loro visione sempre più laica, dunque protestante della dottrina, o di ciò che ne rimane.
Scusa se ti ho fatto perdere qualche minuto, ma ho creduto fosse interessante come il concetto di sacro è fondamentale anche in altre realtà spirituali lontane da noi.