Era ancora notte, il cielo indaco scuro, quando, chiamata dalla mia sorellina di fede, ho afferrato gonna e golfino, infilato un paio di stivali, per essere poco più tardi nel vuoto di Via Nazionale ad attendere alla fermata tal dei tali uno degli autobus che, ogni giorno, compiono l’eterna spina savoiarda che, da Termini, ha come meta il Vaticano. L’autobus è quasi vuoto e i pochi passeggeri sonnecchiano, il capo appoggiato ai vetri o smanettano con il cellulare, io, felice, rincorro col pensiero la mia meta che è il ventre caldo della basilica di San Pietro dove riposa in amabile semplicità il dolce Benni del mio cuore. Non è tempo di polemiche, ma di preghiera e m’accosto alla fila ordinata che, sulla destra, attende di passare i due posti di controllo per poi salire su nella Basilica madre costruita sulla tomba del primo Papa e primo Vicario di Cristo.
Cammino a passi svelti e fendo il buio mentre tutt’attorno m’appare nel suo bieco squallore la baraccopoli cresciuta a dismisura lungo la ariosa Via della Conciliazione. Uno spettacolo avvilente che nulla ha a che fare con la carità. Con il cellulare riprendo i movimenti di tanti alti vagabondi che, minacciosi, mi apostrofano con male parole, ma io continuo a riprendere perché rimanga la testimonianza di quanto accade qui, davanti alla casa del Signore, che ha creato per noi una bellezza sublime per la quale non dovremmo mai smettere di ringraziarlo in lode incessante e ginocchioni. Invece, a Lui apparecchiamo questo spettacolo di squallore, proprio davanti a casa sua e lasciamo che il degrado divori quanto di più sacro e importante abbiamo, in nome di una bontà falsa, da lupi travestiti da agnelli…
Proseguo mentre una povera donna inizia a strillare i suoi vaneggiamenti, camminando a zonzo tra di noi. E raccolgo la lamentela di un urtista vecchiotto che da anni vende alle folle cattoliche i suoi rosari. “Sta qui sempre e a volte urla e strepita e altre borbotta”. Mi dice che una folla così non se l’aspettava e indica la fila stenta che raduna quanti, non da Benni andranno, ma dall’altro, all’udienza del mercoledì che, nonostante la camera ardente in Basilica, si farà. Con grande scandalo della mia sorellina di preghiera e d’anima che proprio non voleva crederci. Così ho chiesto, per lei, alla polizia e mi han risposto solo: “Sì”.
Sono già dentro e non vedo chi mi sta intorno. Solo un sacerdote alto e possente, col barbone e la talare nera, che incede con il suo rosario in mano pregando. Così Gosia e io dietro anche noi, seguendo il bell’esempio. Eccoci davanti a Benni ed è tanto piccolino, dal cuore mio parte un bacio silente. Le mani da uccello, il rosso e l’oro della Basilica: tutto si ferma davanti al Papa morto.
Stonano le scarpacce nere che fan da sentinella al catafalco. Bastava mettergli su delle pantofoline rosse a indicare il supremo sacrificio di Gesù sulla Croce! Scarpe gentili, non quei due brutti topi neri. Quelle odiose scarpe color tenebra mi seguono torno torno finché non siamo costrette da un inserviente ad andare più veloce perché “blocchiamo la fila”.
Avanti allora e seguendo la corrente ci troviamo, a naso in su, nella cappella dove sono sepolti Benedetto XV e San Pio X (che ho riconosciuto). Una preghiera e voltando il capo in su, ecco San Michele Arcangelo che con la Madonnina butta giù i demoni e i diavoli rossi. Sorrido all’alba rosa che laggiù esplode in un nuovo giorno e aspetto con fiducia il trionfo del Cuore immacolato di Maria.
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