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Benedetto XVI e l’Insonnia: e se non Fosse Tutto Complottismo? Mascarucci

feb 01, 2023

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Americo Mascarucci offre alla vostra attenzione queste riflessioni su Benedetto XVI e quanto ha scritto nel libro di memorie, pubblicato postumo, dei suoi anni da papa emerito. Buona lettura.This is a subtitle for your new post

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Benedetto XVI e l’insonnia: e se non fosse tutto complottismo?

 

Benedetto XVI sta facendo più rumore da morto che da vivo, togliendosi quei sassolini dalle scarpe che in vita ha evitato di lanciare.

La scorsa settimana c’è stata l’uscita dei suoi scritti postumi, che per suo volere sono stati resi pubblici dopo la morte, che hanno rivelato l’amarezza e le sofferenze che questo grande teologo, poi papa e primo Papa emerito nella storia della Chiesa, ha dovuto subire a causa di quel “vociare assassino” che non lo ha mai risparmiato. Poi è arrivata la rivelazione del biografo Peter Seewald, il quale ha reso noto il contenuto di una lettera inviatagli da Ratzinger pochi giorni prima di morire, in cui svela di aver rinunciato al papato per un’insonnia che lo tormentava e gli impediva di avere le forze necessarie per andare avanti.

Ma andiamo per ordine. Dagli scritti postumi raccolti nel libro “Cos’è il Cristianesimo” si evince chiaramente che i modernisti hanno sempre visto in Ratzinger l’ostacolo da abbattere, sin da quando era al timone della Congregazione per la Dottrina della Fede, soprattutto negli ultimi anni del pontificato di Wojtyla quando San Giovanni Paolo II si affidava quasi esclusivamente a lui. Lo temevano, per non dire odiavano, a tal punto da aver sentito il bisogno di coalizzarsi e di creare quel partito progressista denominato “mafia di San Gallo” dove si discuteva proprio di come contrastare il suo potere e neutralizzarlo. Ed è proprio in quegli anni che i modernisti hanno deciso di affilare le armi in vista della imminente morte del papa polacco per tentare l’assalto alla Chiesa.

Un assalto già annunciato agli inizi del nuovo millennio, partito dagli Stati Uniti, dove i giornali di orientamento liberal iniziarono a costruire la candidatura alla successione di Carlo Maria Martini, l’aspirante papa progressista amato oltre Oceano e nei salotti della sinistra dem. E forse chissà, se non fosse stato già affetto dal Parkinson, l’ex arcivescovo di Milano nel conclave del 2005 la sua partita se la sarebbe giocata davvero contro Ratzinger, visto che era il più autorevole fra i candidati del gruppo di San Gallo.

Papa Benedetto sapeva benissimo a cosa sarebbe andato incontro, lo fece capire chiaramente quando chiese di pregare affinché non scappasse davanti ai lupi. Già consapevole del clima che si sarebbe creato contro di lui, tentò la strada del dialogo con i suoi nemici tendendo loro la mano. Incontrò Hans Kung per cercare di trovare forse in lui un alleato capace di frenare gli attacchi e le manovre di disturbo dei modernisti che lo accusavano di essere stato l’ispiratore delle politiche reazionarie di Wojtyla che avevano colpito anche il teologo svizzero; creò cardinale Reinhard Marx, il più agguerrito fra i vescovi riformatori tedeschi, come segno evidente della volontà di creare una Chiesa plurale, una Chiesa inclusiva e dialogante, senza discriminazioni contro nessuno; ha tollerato i seminari progressisti in cui si vietavano i suoi libri e si impediva ai seminaristi che ne apprezzavano la teologia di diventare sacerdoti. Non ha punito o emarginato nessuno dei suoi avversari, come invece farà dopo di lui Bergoglio, cacciando i conservatori a capo dei dicasteri, commissariando i seminari e gli ordini religiosi di impronta tradizionalista, creando cardinali di rottura rispetto alle conferenze episcopali non allineate, come avvenuto in America con la scelta del discusso McElroy, contestato per le sue posizioni pro Lgbt e per aver difeso il diritto dei politici abortisti di ricevere la comunione.

Lo spirito dialogante di Benedetto non è bastato, e otto anni di pontificato sono stati un Vietnam di aggressioni mediatiche e campagne di odio, che hanno visto i media accanirsi contro il vicario di Cristo come mai avvenuto in precedenza; facendo leva sugli scandali della pedofilia e quelli finanziari legati allo Ior, sull’accusa di voler tornare alle Crociate dopo il discorso di Ratisbona, sulla scomunica revocata al vescovo lefebvriano antisemita, per finire poi con lo scandalo Vatileaks e la divulgazione dei documenti riservati del papa e della Santa Sede.

Benedetto è stato un grandissimo teologo, il cui ruolo di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede fu fondamentale negli anni del pontificato di Wojtyla per riportare la Chiesa sul binario dell’ortodossia dopo l’epopea delle grandi ubriacature post conciliari e dei grandi errori scaturiti dall’interpretazione ultra modernista del Concilio Vaticano II ad opera di Karl Rahner e dei suoi molti seguaci. Ma forse ad un certo punto Ratzinger ha capito che fare il papa era un qualcosa di troppo grande per lui, uomo di studio, di pensiero, di scrittura, ma non di azione. Benedetto capì di non avere effettivamente le forze fisiche e la volontà di affrontare una guerra snervante con i suoi nemici, interni ed esterni alla Chiesa, e volle farsi da parte per tornare ai suoi studi e alle sue opere.

Forse l’errore sta nel non voler accettare che la rinuncia di Benedetto possa essere stata effettivamente il prodotto di una debolezza umana, dello sconforto nel non riuscire a guidare la Chiesa nel mare della tempesta e nel sentirsi bersaglio degli attacchi e dell’incomprensione di tanti che soltanto oggi sembrano rivalutarlo. Una forma estrema di sacrificio assunta nella consapevolezza che la mancanza di fiducia in se stesso e nelle proprie capacità, avrebbe rischiato di compromettere il bene stesso della Chiesa. Invece fra molti ratzingeriani sembra emergere la volontà di non voler accettare la possibilità di un Benedetto XVI vittima della debolezza umana che ha scelto di sacrificare se stesso per risparmiare sofferenze alla Chiesa, con vociare assassini, complotti, campagne di delegittimazione internazionale. E allora ecco le tesi alternative, le finte dimissioni, il piano B, la sede impedita, tutte teorie legittime ma che nemmeno dopo la morte dell’Emerito sembrano trovare conferma, diversamente dalla realtà di una rinuncia volontaria che invece, anche con l’uscita degli scritti postumi, appare l’unica spiegazione plausibile. Una rinuncia volontaria ma sicuramente determinata dal clima e dagli eventi contingenti che hanno fatto perdere a Ratzinger la fiducia di poter continuare a fare il papa. E perché non credere alla possibilità che anche l’insonnia possa aver avuto la sua importanza? Perché Seewald dovrebbe inventarsi una cosa simile? Perché escludere che Ratzinger, già sfiduciato di suo, possa aver preso a pretesto i consigli del suo medico per decidersi a compiere il grande passo? Non si vuole accettare che Benedetto XVI è stato un uomo prima che un papa e che possa aver maturato la consapevolezza di non essere più all’altezza della situazione. Forse ci sfugge che la santità di Ratzinger alla fine possa stare soprattutto nella sua rinuncia al pontificato, operata non per viltà ma come grande prova d’amore e sacrificio per la Chiesa.


Americo Mascarucci


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