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Robert Siscoe, BXVI, Rinuncia. Breve Confutazione di Alcune Teorie Insostenibili.

gen 07, 2023

Carissimi StilumCuriali, Carlo Schena, un amico fedele del nostro sito, offre alla vostra attenzione, nella sua traduzione, questo articolo di Robert Siscoe, teologo e scrittore americano, di area tradizionalista, sulla velata questo della rinuncia di Benedetto XVI. Lo schema semplificativo è opera di Carlo Schena, che ringraziamo di cuore. Buona lettura e diffusione.

§§§


Munus, ministerium e amenità varie. Breve confutazione di alcune teorie insostenibili.


 

“Non c’è nessun dubbio che c’è stato sempre un solo Papa, e si chiama Francesco” Mons. Georg Gänswein

 

Di questi tempi, diversi fedeli – vuoi sconcertati da alcune azioni di papa Francesco, vuoi confusi dalla novità del c.d. “papato emerito” e da curiose teorie che circolano in rete e sui giornali – ritengono che in seguito alla scomparsa di Joseph Ratzinger, “unico vero papa”, il soglio petrino sia oggi vacante.

Secondo queste ricostruzioni, Benedetto avrebbe validamente rassegnato le dimissioni dall’esercizio attivo del suo ministero (ministerium) come vescovo di Roma, ma sarebbe comunque rimasto l’unico e solo Papa fino al giorno della sua morte, perché le dimissioni sarebbero state valide soltanto quanto all’esercizio attivo del ministero (ministerium), e non rispetto all’ufficio (munus) stesso.

 

Inscindibilità di munus e ministerium. La declaratio.

Il primo problema è che il munus e il ministerium non possono essere separati. Così come non è possibile dimettersi dal munus mantenendo il ministerium, nemmeno è possibile dimettersi dal ministerium mantenendo il munus. Se un Papa si dimette dal ministerium, il munus stesso diventa vacante. Benedetto lo ha chiarito nella declaratio del 2013, quando ha detto:

 

declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commisso renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse”

“dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”.

Si noti che l’intenzione dichiarata da Benedetto XVI è quella di rinunciare al ministero “in modo che” la sede di Pietro si renda vacante (e non “impedita”!). In altre parole, l’intenzione dichiarata è quella di rinunciare al ministero e all’ufficio.

 

Rinuncia al ministerium – rinuncia alla giurisdizione – rinuncia al papato.

Ma supponiamo, per amor di discussione, che Benedetto non intendesse dimettersi “in modo che la sede di San Pietro diventi vacante”, ma intendesse invece solo dimettersi dall’esercizio attivo del ministero, pur mantenendo l’ufficio stesso. E supponiamo inoltre che, di conseguenza, fosse valida solo la rinuncia all’esercizio attivo del ministero.

Anche se tutto ciò fosse vero, Benedetto avrebbe comunque cessato di essere Papa (completamente) il 28 febbraio 2013 per il seguente motivo:

ciò che rende un uomo Papa è il possesso della giurisdizione dell’ufficio papale.

La giurisdizione è ciò che dà al Papa l’autorità di “esercitare attivamente il ministero”: insegnando, governando e santificando. La giurisdizione è la forma dell’ufficio papale. Rinunciando all’“esercizio attivo del ministero”, Benedetto si è quindi spogliato della giurisdizione, e spogliandosi della giurisdizione ha cessato formalmente di essere Papa.

Il fatto che Benedetto abbia intenzionalmente rinunciato alla sua giurisdizione è confermato dal titolo che ha scelto: “Papa emerito”. Chi detiene il titolo di un ufficio gode dei diritti, dei doveri e dei privilegi dell’ufficio stesso. “Emerito” è il titolo dato a un vescovo in pensione (canone 402.1): vale a dire, a un vescovo che ha rinunciato alla sua giurisdizione su una diocesi affinché un altro possa assumerla.
Quindi anche il titolo scelto da Benedetto conferma che egli si è volontariamente spogliato della sua giurisdizione e, rinunciando alla giurisdizione, ha cessato di essere Papa.

Lo studio del professor Violi

Stefano Violi, professore di diritto canonico, è stato il primo a sostenere che Benedetto intendeva rinunciare solo a una parte del papato, ossia all’“esercizio attivo dell’ufficio”.
Già nel 2014 scrissi 
un articolo a proposito dello studio del prof. Violi, citandovi i seguenti estratti da un articolo sullo stesso argomento che Vittorio Messori pubblicò sul Corriera della Sera.

Si noti con attenzione come Messori ricostruisce ciò a cui, secondo Violi, Benedetto avrebbe inteso rinunciare, e ciò che invece avrebbe inteso mantenere:

Nella formula impiegata da Benedetto, si distingue innanzitutto tra il munus, l’ufficio papale, e la executio, cioè l’esercizio attivo dell’ufficio stesso. Ma l’executio è duplice: c’è l’aspetto di governo che si esercita agendo et loquendo, lavorando ed insegnando. Ma c’è anche l’aspetto spirituale, non meno importante, che si esercita orando et patendo, pregando e soffrendo. È ciò che starebbe dietro le parole di Benedetto XVI: “Non ritorno alla vita privata… Non porto più la potestà di guida nella Chiesa [cioè la giurisdizione] ma, per il bene della Chiesa stessa e nel servizio della preghiera, resto nel recinto di San Pietro”. Dove “recinto” non andrebbe inteso solo nel senso di un luogo geografico dove vivere ma anche di un “luogo” teologico.

Benedetto XVI si è spogliato di tutte le potestà di governo e di comando inerenti il suo ufficio [cioè della giurisdizione], senza però abbandonare il servizio alla Chiesa: questo continua, mediante l’esercizio della dimensione spirituale [pregare e soffrire] del munus pontificale affidatogli. A questo, non ha inteso rinunciare. Ha rinunciato non al compito, che non è revocabile, bensì alla sua esecuzione concreta.

Questo “ufficio” di pregare e soffrire (orando et patendo) – che è quanto, secondo il professor Violi, Benedetto XVI avrebbe inteso mantenere – non richiede giurisdizione. Lo richiede, invece, l’ufficio di lavorare e insegnare: esso richiede “la potestàdi guida nella Chiesa”, che è ciò che Benedetto ha esplicitamente dichiarato di “non portare più”. E se Benedetto “non porta più” la “potestà di guida” (che è la giurisdizione) non è più papa, poiché la giurisdizione è ciò che rende il papa il (solo e unico) papa.

Robert Siscoe

 

[traduzione e adattamenti di Carlo Schena]


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