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Il Matto. Accielare sull'Alto.

nov 01, 2022

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il nostro Matto ci offre queste preziose riflessioni su alcuni enunciati di grandi pensatori del passato. Buona lettura.


ACCIELARE SULL’ALTO


Se lo comprendi, non è Dio

Agostino

 

 

Il Tao che si può nominare non è il Tao eterno; il nome che si può pronunciare non è il Nome eterno

Lao-Tze

 

 

Al di là delle idee, al di là da ciò che è giusto e ingiusto, c'è un campo immenso. Noi ci incontreremo là

Gialal al-Din Rumi

 

T’invidio! Tu che lontano da discorsi e discordie, hai la testa appoggiata a un guanciale di nuvole azzurre

Li Bai (Li Po)

 

Abbandona l’ira, trascura l’orgoglio, passa oltre ogni vincolo: nessun dolore tocca l’uomo distaccato da nome e forma, e che non possiede nulla

Canone Buddhista

 

Beati i poveri di spirito perché di essi è il Regno dei cieli

Matteo

 

La povertà è come una grande luce in fondo al cuore
Rainer Marie Rilke

 

* * *

Cominciamo col notare come fede e ragione, sostenendosi a vicenda, abbiano una risposta per ogni domanda. Dove non arriva la dottrina della fede supplisce la dottrina della ragione e viceversa, ciò costituendo un motivo di sicurezza che accompagna il fedele nel suo passaggio terreno per mantenersi sulla retta via. Su ciò, ovviamente, nulla vi è da eccepire.

 

Occorre però tenere presente che le Anime non sono tutte uguali, anzi sono profondamente diverse tra loro (non per essenza creaturale bensì per vocazione) e quindi il metodo fede/ragione può non essere sufficiente, per alcune di loro (poche? tante?), al proseguire sulla Via verso l’Alto.

 

Di fatto, la dottrina della fede/ragione è peculiare della Chiesa in quanto istituzione visibile organizzata e regolamentata, e ciò, da alcune Anime può essere recepito come una sorta di “imbracatura” che ne condiziona o paralizza lo slancio mistico, ne soffoca lo spirito di ricerca oltre la cortina mediatrice del linguaggio, ne mortifica il gusto dell’avventura, forse drammatica, che un vero pellegrinaggio può (o deve?) comportare.

 

In altri termini, vi sono Anime per le quali il pellegrinaggio terreno non può limitarsi ad una sorta di viaggio organizzato dall’istituzione, con tanto di guida e carta topografica con il sentiero indicato e obbligatorio. Per alcune Anime il pellegrinaggio consiste nell’attraversamento, tutt’altro che agevole, di un Deserto verso un’Oasi invisibile, un Non-oggetto mentale, e ciò, è da sottolineare, a testimonianza di una fede purissima (purificata proprio dal Deserto) poiché, appunto, senza oggetto: nessuna parola, nessun concetto, nessun nome, nessuna immagine le possono soddisfare, poiché anelano intensissimamente a Ciò che in Sé non è parola, concetto, nome e immagine, bensì il Puro Nulla, che viene fortemente presentito come la Fonte, l’Origine, la Radice, il Principio, il Vero in Sé.

 

La pura fede nel Puro Nulla, occorre notarlo, non è da tutti, ma non per questo impossibile o da ritenere assurda da parte di chi, per credere, necessita di oggetti mentali: parole, concetti, nomi e immagini, perciò di un composto scritturale/dottrinale ritenuto decisivo e obbligatorio. Per questo, la fede senza oggetto è la fede nel Soggetto Unico Inoggettivabile, dal quale non si può che essere assimilati, ciò che viene detta homoiosis theo, o theosis, o henosis. Su ciò, è interessantissimo il distico 21 del capitolo IV de “Il pellegrino cherubico” del cattolico Angelo Silesio:

 

«Cos’è Dio non si sa: non è luce né spirito

Né gioiosità, né Uno, né ciò ch’è detto deità

Non sapienza, intelligenza o amore, volontà, bene

Nessuna cosa o non-cosa, né essenza o affetto

Egli è ciò che io, tu e alcuna creatura

Mai sappiamo, prima d’essere diventati ciò ch’è Lui».

 

Mentre nel distico 139 ritorna il perdersi nel deserto di cui sopra e che richiama indubbiamente il mare e l’annegamento leopardiani:

 

«Se tu conduci la tua navicella sul mare della divinità:

Felicemente beato sei, quando in esso anneghi».

 

Quanto sopra, non sarà mai troppo ribadirlo, non significa in alcun modo il disprezzo del metodo fede/ragione; del resto la fede guida anche il Pellegrino che sente di non potersi accontentare delle parole (quindi degli oggetti) della fede e della ragione: egli, come già visto, non sa e non può accontentarsi della monorotaia costituita da risposte preconfezionate quantunque utili (e tuttavia non scevre da diversificazioni esegetiche all’interno stesso del sistema fede/ragione). Il Pellegrino è irresistibilmente sollecitato non si sa se più dal presentimento (una sorta di prenozione) dell’Assoluto o dall’attrazione sovrarazionale che l’Assoluto esercita e nel quale intensamente crede, anzi non può non credere, questo presentimento e/o attrazione comportando il superamento (non il rinnegamento) tanto dei dati della fede quanto quelli della ragione, cioè della misura (ché ratio significa misura), la quale, per così dire, è necessaria al rullaggio sull’orizzontalità della pista ma è inadatta al decollo in verticale.

 

I dati della fede e della ragione sono … dati, e il dato è lo stabilito, il cristallizzato in parole, concetti e nomi e immagini che con la loro funzione definente, misurante, distinguente e moltiplicante non sono – non possono essere – il Significato che è Sintesi ineffabile, bensì un’allusione ad Esso. Il metodo fede/ragione comporta l’adesione all’allusione, non l’unione all’Alluso; al dipinto, non al Bianco della tela; al pieno delle mediazioni, non al Vuoto che le trascende; alle immagini, non allo Specchio che le riflette.

 

Con breve inciso, vale la pena di notare che l’Alluso, il Bianco, il Vuoto, lo Specchio, insomma il Trascendente, è dotazione dell’essere umano: «il Regno dei cieli è dentro di voi».  La differenza nel relazionarsi ad Esso sta proprio fra la mediazione della fede/ragione ed il lasciare (non rinnegare) la mediazione per l’approccio diretto.

 

Senza la “cloche” della contemplazione, che lascia sulla terra le oggettivazioni della fede e della ragione, alcune Anime sentirebbero tarpate le proprie ali; sentirebbero il loro pressante anelito al volo precluso dalla rete precostituita delle risposte ad ogni domanda, la qualcosa non smette di trattenenere nel dominio della mediazione/allusione.

 

Il Trasvolatore contemplativo (passiamo qui dal Deserto al Cielo, che è la stessa cosa) si destreggia nello “sgattaiolare” fra le magnetiche meteore delle parole, dei concetti, dei nomi e delle immagini che gli vengono incontro a blandirlo e rassicurarlo per convincerlo a fermarsi, come le Sirene con Ulisse. Ogni risposta costringe ad un voltarsi in dietro che può essere esiziale, come per Euridice e quindi per Orfeo che così perde la sua donna, e come la moglie di Lot trasformata in statua di sale: è il fermarsi e voltarsi indietro l’atto parallizzante e dissolvente. Il volo d’ascesa nella profondità di sé non conosce soste intermedie. 

 

Si tratta di un volo che non cerca risposte poiché non ha più domande da porre, data l’insoddisfazione insopportabile a restarsene chiuso nel reticolato dialettico; un volo che vede in ogni risposta uno stallo, una contrazione, una coagulazione, una salificazione; un volo che è una «fuga da solo a Solo», direbbe Plotino, e non s’accontenta di fermate a mezz’aria per intrattenersi con dei mediatori allusivi; un volo che anela ardentemente ad un’unione totalmente altra dall’incontro con i significanti (significanti, con la n), appunto un’unione con il Significato, con l’Alluso che nell’unione sparisce. Un volo che è un dimenticare tutto per poter davvero ricordare Dio, il ri-cordo essendo non più memoria ma immersione – per attrazione – del cuore umano nel Cuore Divino. Riposo nell’Oasi: un accielare sull’Alto (la Via unitiva, che segue alla purgativa e illuminativa, come da ortodossia cattolica).

 

Anche il volo contemplativo, al suo ritorno in terra, può produrre (non certamente deve produrre) un linguaggio testimoniante l’avventura, che può terminologicamente non coincidere con i dati della fede e della ragione, poiché “attinte” in una temperie più eterea di quella dello stabilito, misurato, definito una volta per tutte, che fornisce ad ogni domanda una risposta (che si pretende) inconfutabile. Del resto, anche il contemplativo – il mistico – che riferisce ciò che ha “visto” o “ascoltato” durante il suo volo e a modo suo, non può farlo se non, di nuovo, attraverso parole, concetti, nomi e immagini, ovvero allusioni che vanno ad aggiungersi alle allusioni “ufficiali” della fede e della ragione.

 

In altri termini, per quanto numerose e meticolose, le definizioni fornite dal metodo fede/ragione restano pur sempre una descrizione, un apparato mediatore, un sipario illustrato oltre il quale s’apre un Deserto, un Cielo, un Vuoto irriducibile a ciò che, per quanto utile e valido per i più, propone il metodo istituzionale. Si tratta del medesimo Deserto, Cielo o Vuoto che la platea di ogni Tradizione vede mediato, quindi ridotto, dal proprio sipario illustrato. Oltre il sipario, si trova il «campo immenso» di cui riferisce il sufi Gialal al-Din Rumi (citazione in esergo). Oltre il sipario s’apre il Panorama: la vista sul Tutto, che, ancora una volta, non è parola, concetto, nome, immagine. Dice Maestro Eckhart con squisito sapore zen:

 

«Solo la mano che cancella può scrivere il vero»,

 

a ciò corrispondendo che soltanto la Mente Vuota, cioè Pura, può concepire la Luce, proprio come solo la Tutta Pura concepisce il Verbo.

 

Ogni dottrina di fede e di ragione, per usare di un termine chimico, è un “precipitato” dello Spirito, e come tale reca i suoi limiti, non potendo che alludere allo Spirito in Sé, il quale certamente non si esaurisce nel “precipitato” ed infinitamente (infinitamente!) lo sopravanza.

 

La più (presunta) esauriente spiegazione di fede e di ragione non può staccarsi da terra di un millimetro. Per questo ci sono sempre state Anime che hanno sentito il potente impulso a tentare l’avventura: a “MORIRE PRIMA DI MORIRE”, ossia a lasciar andare, come quando si muore, ogni orpello e zavorra (parole, concetti, nomi e immagini) onde poter volare per accielare sull’Alto.

 

 

 


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