QUANTI ANNI DI VITA SARANNO STATI IMMOLATI ALL’IDOLO VANO?
La domanda è importante per due ragioni:
1-chi non crede a ciò che si va sostenendo (che i sieri genici sono pericolosi), sostiene che non ci sono segnali certi che indichino la mortalità in eccesso e che -se anche ci fosse- la causa non andrebbe ricercata nelle dosi anti-Covid, bensì di volta in volta nel caldo estivo, nel freddo invernale, nello stress, nello sforzo fisico intenso per i non allenati o per i troppo allenati, nell’invecchiamento della popolazione ed altro ancora.
2-chi crede invece ad un effetto nefasto della terapia genica, non trova ancora un riscontro in quei numeri eclatanti che porterebbero anche i meno dubbiosi a farsi venire l’atteso ripensamento sull’intera vicenda.
Per cercare di rispondere propongo degli spunti che, lo spero, aiuteranno a comprendere il momento attuale.
ASPETTATIVA DI VITA ED EFFETTO CUMULATIVO DELLE DOSI
La somministrazione dei sieri è iniziata al termine del 2020. Sono cioè passati poco più di due anni e nel frattempo c’è chi non ha ricevuto alcuna dose e chi è giunto addirittura alla quinta.
A 40-44 anni di età la probabilità di morire è molto bassa: una statistica britannica (https://www.statista.com/statistics/1125118/death-rate-united-kingdom-uk-by-age/) riferita al 2020 stabilisce che per un uomo è di 1,9 per mille.
A 80-84 anni, come è logico che sia, il rischio sale considerevolmente e vale il 77 per mille (7,7%).
Per le donne questi valori sono rispettivamente del 1,1 e 54,6. Potete facilmente ricavare nel collegamento i valori britannici a tutte le altre età. La situazione italiana non se ne discosta molto.
In funzione di queste statistiche, i ricercatori (e chi stabilisce le regole delle pensioni e le assicurazioni sulla vita) calcolano l’aspettativa di vita alle varie età.
Come ha ben illustrato anche un recente articolo su Stilum Curiae (https://www.stilumcuriae.com/il-siero-distrugge-l-immunita-naturale-dati-della-cleveland-clinic-un-nuovo-studio) è ormai noto che l’accumulo di iniezioni con mRNA e nanolipidi non sta facendo un granché bene alla salute.
La Cleveland Clinic è una delle poche strutture sanitarie che non ha richiesto ai propri dipendenti di sottoporsi obbligatoriamente alle vaccinazioni. Le circa 65000 persone impiegate presso la Cleveland Clinic costituiscono pertanto un caso di studio interessantissimo. Confrontando i dipendenti non vaccinati con quelle vaccinati è emerso che i primi hanno avuto un effetto non solo inefficace, ma anti-efficace verso l’infezione da coronavirus nella sua evoluzione verso altri ceppi.
Il problema non riguarda unicamente l’evolvere delle varianti virali rispetto al virus primigenio (lasciamo perdere dove e da chi, più su un computer che in natura), ma l’essere più propensi a contrarre l’infezione dei nuovi ceppi tanto maggiore è il numero di iniezioni somministrate. Il sistema immunitario che le ha ricevute risulta danneggiato proporzionalmente al numero delle dosi ricevute.
Uno studio ha provato a stimare l’impatto negativo delle dosi formulando questa equazione: ogni anno, ogni vaccinato ha una maggior probabilità di morire pari al 7% per dose per anno.
Infatti il danno della prima dose non viene riassorbito, ma si somma con quello delle successive.
Assumendo l’anno 2021 come linea di base, chi avesse assunto 3 dosi, tra 5 anni avrebbe il 105%=(7+7+7)x5 di probabilità in più di morire a quell’età rispetto ad un pari età non vaccinato. In un certo senso funziona come gli interessi composti di un mutuo, assegnando il 7% di tasso per ogni dose inoculata.
In termini di aspettativa di vita, i ricercatori che hanno adottato questo metodo hanno calcolato che, rispetto ad un trentenne maschio non vaccinato che avrebbe ancora più d’una cinquantina d’anni da campare, il vaccinato 30enne con 5 dosi non avrà un’aspettativa di vita oltre i 60 anni.
Se le dosi sono meno di cinque, il ricalcolo porta a queste conclusioni: una dose costa ad un 30enne una dozzina d’anni di aspettativa di vita; due dosi 18 anni, tre dosi 20 anni, quattro dosi 23 anni in meno. Che sia questo il prezzo da pagare alla propaganda politica e mediatica di questi anni? Lo dirà il futuro.
Al presente è interessante questo ulteriore riscontro che proviene dal Nuovo Galle del Sud, Australia.
I dati si riferiscono al termine del 2022, tra il 19 novembre e il 31 dicembre (laggiù era primavera/estate).
La popolazione di quell’area è di 6,5 milioni di persone con un’altissima percentuale di vaccinati.
Nelle sei settimane oggetto di studio le persone con 1 a 2 dosi sono state ricoverate per Covid 20 volte di più dei non vaccinati. Quelli con 3 o 4 dosi 35 volte di più dei non vaccinati. A finire in terapia intensiva sono stati i pluri-dosati, perché gli altri hanno mostrato maggior protezione verso le forme gravi. Paradossalmente a creare una pressione insostenibile sugli ospedali è stata proprio la diffusa pratica inoculatoria che ha impedito l’instaurarsi dell’immunità di gregge. Insistendo con questa follia si teme che i sistemi sanitari collasseranno.
Si noti che l’analoga statistica, stesse sei settimane, alla fine del 2021 vedeva i bi-vaccinati con solo 2,2 volte maggiori probabilità di infettarsi di omicron rispetto ai non vaccinati. Dodici mesi dopo le nuove varianti colpiscono con una preferenza per i vaccinati circa dieci volte maggiore (da 2,2 a 20 volte di più).
Il danno immunitario non solo esiste, ma incrementa, moltiplicandosi rapidamente, di anno in anno.
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